
Resilienza, parola molto in voga nel contesto contemporaneo, utilizzata molto spesso da motivatori/santoni/guru in vari ambiti: dal business, alla formazione, dal coaching alla vita di tutti i giorni. Eppure non troviamo collocazione migliore di quella sportiva, nello specifico nella maratona. Cosa c’è di più allenante alla resilienza che non correre 42 km e spicci, da soli o al limite con se stessi? Fate voi. Per noi nulla.
Ecco perché la storia che vi raccontiamo oggi è la storia di un maratoneta. Come tante altre si potrebbe pensare; ed invece no. In primis perché l’atleta in questione è giapponese (se vi state chiedendo il perché questo possa sembrare particolare o degno di nota, consigliamo la lettura di Ogni giorno è un buon giorno, di Noriko Morishita), poi perchè nelle settimane scorse il 33enne fondista nipponico Yuki Kawauchi, arrivando secondo alla recente maratona di Hofu in 2.10.26, dietro il connazionale Testuya Maruyama 1° con 2.09.36, ha realizzato uno storico record: quello di avere corso 100 maratone sotto le 2 ore e 20 minuti.
Per chi conosce la corsa, e la maratona nello specifico, sa cosa vuol dire quel tempo e sa che ripeterlo per 100 volte è un’impresa titanica, consolidatasi nel tempo per oltre un decennio. Significa aver mantenuto sempre uno standard prestazionale altissimo a dispetto dell’età, significa aver curato per lungo, lunghissimo tempo, ogni singolo dettaglio di una preparazione che dura mesi e mesi. Significa avere una forza di volontà che piega l’acciaio. Giapponesi, amici.
Se non bastasse il maratoneta giapponese inoltre non è un atleta professionista ma un impiegato statale che ogni settimana deve completare 40 ore di servizio nella sue 100 maratone sotto le 2 ore e 20 minuti Kawauchi ha vinto ben 38 gare correndone dieci volte la distanza sotto le 2 ore e 10 minuti. Un rapporto quantità-qualità mai ottenuto da nessun altro atleta. Figurarsi da un non professionista.
Carlo Galati