
Per comprendere la portata dell’evento forse bisognerebbe partire dalla simbologia che vi sta dietro. Piccoli gesti che rendono sempre una partita non comune quella tra Inghilterra e Scozia. Nella maglia dei bianchi di sua maestà, il logo storico della rosa; nei numeri di maglia degli scozzesi i nomi dei quindici giocatori che, nel 1871, sfidarono proprio i Bianchi al Raeburn Place di Edimburgo nel primo test match internazionale della storia del rugby. Giusto per dare l’idea.
La Storia questa Scozia l’ha riscritta, questa volta a Twickenham, in uno dei templi laici della palla ovale, battendo dopo 38 anni gli inglesi a domicilio: 6-11 il risultato finale. Potremmo richiamare molte metafore, la maggior parte delle quali andrebbero a scomodare William Wallace, identificando una certa grinta e cuore, unito al sano odio verso gli inglesi. Ma non sarebbe corretto; non stavolta. La vittoria scozzese non è solo figlia dell’attitudine al combattimento e a sovrastare l’avversario. Certo, è elemento fondamentale, come sempre; ma questa volta la Scozia ha messo anche altro. Intelligenza rugbystica, gioco al piede usato con la giusta misura, nello spostare il gioco. Mischia solida (Made in Cutitta), tre quarti ficcanti, avanzamento e possesso sicuro. Non solo guerriglia rugby, ma anche tanta qualità.
Il resto è festa. È giusto riconoscimento ad un lavoro che ha dato dei frutti dolcissimi e una Calcutta Cup nella quale rimbomba l’eco delle cornamuse di Edimburgo e i fiori di Scozia fioriscono, nonostante l’inverno.
Carlo Galati