
“Dice che era un bell’uomo
E veniva, veniva dal mare
Parlava un’altra lingua però sapeva amare
E quel giorno lui prese mia madre sopra un bel prato
L’ora più dolce prima d’essere ammazzato”
Non veniva dal mare ma dalla profonda provincia bergamasca, ma era una bell’uomo, una bella persona. Non abbiamo avuto la fortuna di conoscerlo personalmente, ma le tante, troppe, testimonianze in tal senso non lasciano alcun dubbio. Sono passati tre anni da quando quel giorno ad Udine il cuore di Davide Astori decise di fermarsi e con esso si fermò tutto. Per una volta lo show non andò avanti.
Parlava la lingua del bel calcio unito anche ad una signorilità e ad un’eleganza, in campo e fuori, che ne hanno amplificato il dolore. Merce rara in uno sport che vogliono sempre più lontano dalle persone e dai sentimenti, ma che ha delle lunghe radici che affondano nella passione e nei sentimenti di quello che romanticamente viene definito il “calcio di altri tempi”. Ecco, apparteneva a quel calcio Davide. Un marziano di normalità in un mondo di (finte) superstar, un esempio di uomo in un mondo di prime donne.
Ecco perché la sua morte ha colpito tutti, perché quella faccia da bravo ragazzo non poteva non suscitare emozioni positive; anche non conoscendolo, non potevi non apprezzarlo, aldilà di ogni rivalità sportiva. Sono passati tre anni ma sembra ieri ed il perché è facilmente intuibile. Gli eroi sono tutti giovani e belli. Ci piace che sia così; consegnato all’eternità dello sport in tutta la sua bellezza.
Carlo Galati