La lunga notte del rugby italiano

Cinque partite, cinque sconfitte. Ennesimo cucchiaio di legno, l’undicesimo dal 2000 ad oggi e peggior sei nazioni di sempre, in quanto a punti incassati. Ci sarebbe da piangere, ed infatti l’Italia rugbistica piange. Lacrime amare.

Ne potremmo citare altre di statistiche negative, tutte con un unico filo conduttore: dall’ultima vittoria italiana nel Sei Nazioni, anno di grazia 2015, questi dati sono tutti peggiorati, segnale inequivocabile di un declino del nostro movimento rispetto a tutti gli altri. E per anni ci siamo cullati su discorsi legati più al conservatorismo immobile che sul guardare in faccia la realtà, adottare misure e provare a cambiare.

E’ vero, il rugby europeo dopo l’Italia è (per nostra fortuna) ben lontano dagli standard delle altre cinque del torneo. Probabilmente continueremo a battere la Georgia, la Russia, il Portogallo e tante altre squadre europee. Ma è sempre un guardarsi indietro, mai avanti.

Placcaggi sbagliati, una costante. Tecnica di base, molto spesso latente. Solo facendo riferimento alla gara con la Scozia, come è possibile sbagliare per ben due volte il calcio di inizio regalando una mischia a centrocampo? Com’è possibile subire costantemente la pressione offensiva, senza saper mai rialzare la testa? E ancora: è possibile in una situazione di emergenza placcare un giocatore e non accompagnarlo al suolo, dando ancor di più un handicap alla propria squadra già in difficoltà?

E questi sono soltanto dei piccoli spunti sul tema che è ovviamente, molto più profondo e molto più complicato da analizzare. Ma non si può buttare tutto, si deve ripartire dalle parole del neo presidente federale Marzio Innocenti che ha il compito immane di risollevare una situazione drammatica, facendo sì che si possa tornare a sorridere parlando di rugby italiano. D’altronde, scivolando verso non si può far altro che risalire. La notte è buia, la speranza è di vedere un barlume in lontananza.

Carlo Galati

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