
La sublime rappresentazione della perfezione è racchiusa in questi pochi istanti, in un elevazione che dura giusto il tempo di trattenere il respiro con la sensazione che duri per sempre.
Perché il gesto non si è mai realmente concluso e non si concluderà mai, almeno fino a quando ognuno di noi non smetterà di stupirsi ogni volta, come se fosse la prima.
Se “The Last Dance”, l’ultimo ballo, è la definizione per l’annata 1997-98 dei Chicago Bulls, l’ultima versione di una squadra mitica e irripetibile, “The Last Shot”, l’ultimo tiro, non può che essere riferito al canestro di Michael Jordanche segnò l’epilogo e il lieto fine di quella cavalcata, tanto clamorosa quanto difficile e controversa. Era il 14 giugno 1998, al Delta Center di Salt Lake City, Utah. Finali NBA 1998 tra Utah Jazz e Chicago Bulls che vinsero il titolo grazie a quella magia.
Sono passati 22 anni e Jordan è ancora lì; sospeso in aria mentre osserva la parabola perfetta che, dalle sue mani, trova la poesia eterna nel soave suono di una vittoria che vuol dire eternità.
Carlo Galati