Il suo sogno, il nostro sogno

A fine match ha aperto le ali, come sempre fa, dopo una vittoria. Questa volta ci ha aggiunto anche un accompagnamento vocale che vuol dire tanto. Vuol dire tutto. Ha gridato verso il cielo “IOOOOO” lo ha fatto con la forza e l’orgoglio di chi ha scritto la storia del tennis italiano, di chi ha portato questo sport, per la prima volta, in finale a Wimbledon, l’Olimpo del tennis. Matteo Berrettini ci sta, si sta, regalando un sogno.

E’ dal 1976 che si aspetta questo momento, da quando Adriano Panatta, sullo Chatrier ha giocato e vinto la coppa dei Moschettieri, ultimo trofeo Slam vinto dai maschietti di casa nostra. Non proprio una cosa da tutti i giorni. Berrettini ha dominato una partita che poteva chiudere prima con Hurkacz che lo ha impensierito, forse, soltanto per un set, il terzo. Il resto è una lezione impartita a chi pensava che sì, è bravo, ma quei ragazzini lì…Sì, quei ragazzi cresceranno, ci faranno forse ancora godere, ma il numero 1 in Italia, è lui.

Ha conquistato questa meritata finale non “soltanto” con un servizio spaventoso, 22 ace a fine match, o con un dritto potente quanto micidiale. In pochi riescono ad abbinare la potenza dei colpo alla delicatezza di una mano che produce dalla baseline uno slice di rovescio dall’alto del suo metro e novantatré centimetri. Mica facile. Ha incantato tutti sull’erba, già qualche settimana prima vincendo al Queens prova generale di un torneo, Wimbledon, che ha avuto sempre un posto speciale nel suo cuore. E poi tanto lavoro, anche nei momenti più bui e difficili, per intenderci quelli in cui si metteva in dubbio il fatto che, quella semifinale agli US Open del 2019 fosse figlia di un colpo di fortuna e nulla più.

Eh no. Quella non fu fortuna, fu valore, forza, coraggio e determinazione. Qualità che oggi lo portano ad un passo dall’Olimpo; e poco importa se dall’altra parte della rete troverà il più forte di tutti. A Parigi Djokovic lo ha battuto, ma con difficoltà e sappiamo bene come, in che contesto. Domenica ci sono le condizioni perché sia un’altra storia, per continuare a scrivere quella storia che abbiamo la fortuna di vivere.

Carlo Galati

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