
Sapevamo sarebbe arrivato, speravamo non arrivasse mai. Il momento è adesso, Kimi ha deciso di dire basta, rientrare ai box a fine stagione salutando dal muretto non solo la Formula 1, ma i tanti che gli hanno sinceramente voluto bene e tra questi ci siamo anche noi.
Spiegare il perché ci mancherà Kimi Raikkonen è come provare a motivare qualcosa che fa parte dell’irrazionale ma, sperando di non cadere nelle ovvietà vogliamo comunque provarci: in primis Kimi è un’emblema di liberta disarmante, l’ultimo baluardo di pilota restio alle convenzioni, restio a quel benessere unto e luccicante dei piloti di adesso dove l’importante è mostrare: soprattutto fuori dalle corse. Poi, le battute laconiche, l’insofferenza per le domande stupide, il senso della frase a effetto, il gesto disarmante nella sua brutale realtà (leggere Hamilton ed il semaforo del Canada nel 2008), la voglia di non fingere mai niente, l’odiare il paraculismo, il buonismo e le sovrastrutture comportamentali che denominano il cliché di un pilota/atleta.
E adesso dopo l’ufficialità del suo addio, un lungo ultimo tour di saluti; le ultime possibilità di vedere correre Iceman ammirando quel campione, l’ultimo in casa Ferrari è bene ricordarlo, che rappresenta la parte migliore di una Formula 1 che sarà più povera, perché mancherà quell’imprevedibile genuinità mista alla fredda superiorità di un vero pilota. Forse realmente l’ultimo nell’accezione più pura e romantica che conosciamo.
Carlo Galati