
Il marchese del Grillo avrebbe già emesso una delle sue proverbiali sentenze. Il marchese del Grillo del tennis, oggi, ha un nome ed un cognome: Novak Djokovic. In barba ad ogni tipo di restrizione, ad ogni cautela, ad una campagna vaccinale che vive la sua battaglia cruciale, lui, noncurante di tutto ciò e con la complicità di Tennis Australia e dello stato di Victoria, attraverso un’esenzione medica è riuscito a bypassare le maglie dell’obbligatorietà del vaccino, volando in Australia a combattere i suoi demoni.
Che per Djokovic il tennis sia un’ossessione non è un mistero. Il vero problema è che questa ossessione, tipica di tutti quelli che appartengono alla sfera dei campioni assoluti, per il serbo esula dal fuoco agonistico ma si tramuta in un qualcosa che con lo sport ha poco a che fare. Demoni, appunto. L’obiettivo è chiaro, staccare Nadal e Federer nella speciale graduatoria degli Slam vinti, appaiati tutti come sono a quota 20 titoli e restare da solo in cima, ma a che prezzo?
Al prezzo di non essere mai realmente amato dai tifosi, se non i suoi. Al prezzo di passare sopra tutto e tutti, per soddisfare la fame del mostro che lo consuma dentro, presentando una esenzione medica che tutto e nulla vuol dire. Ed è un peccato, perché un grande campione dovrebbe essere un esempio, sul campo da gioco e fuori non soltanto per i propri ultras ma principalmente per chi lo guarda con gli occhi del bimbo innamorato e che magari un domani potrà restare deluso dal suo comportamento. Ma tanto, guardandolo negli occhi, guardando negli occhi il suo piccolo tifoso e tutti gli altri Novak potrà dire: “Perchè io so io e voi non siete un cazzo”.
Carlo Galati