Ferrari, il perché di un disastro

Mondiali di Formula 1 ne abbiamo visti tanti, fin da quando ne abbiamo memoria. Cresciuti a pane ed Ayrton Senna, il rito del gran premio è qualcosa che non si può neanche tramandare: o è tuo o non lo sarà mai. Tante le stagioni viste e seguite ma mai nessuna così; mai con la sensazione che in gara ci fosse il binomio auto/pilota migliore ma con la consapevolezza che non sia sufficiente, che durante la gara qualcosa di spiacevole possa accadere. Leclerc e la Ferrari sono quel binomio.

E per l’ennesima volta, non bastassero le precedenti, quasi come fosse un rito a cui non ci si può sottrarre, anche in Ungheria la Ferrari per mano del suo muretto, rappresentato da Mattia Binotto, ha dato prova della sua inadeguatezza. Andando oltre il tema pneumatici, un team principal che giustifica il flop, spostando l’attenzione sulla vettura che “non andava”, parole sue: non è quella che potremmo definire una genialata in termini di comunicazione.

Fatto sta che l’occasione sembra perduta e il mondiale andato. Charles, il più forte pilota sulla piazza insieme a Verstappen, ostaggio di tutto questo. Perché insistere?

Carlo Galati

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