
Ci sono uomini che pensi non possano lasciarci mai.
Sinisa era uno di questi, fiero e coraggioso anche di fronte al male supremo, quello che ti entra dentro e ti devasta, distruggendo il fisico, lo spirito e ogni certezza.
Il sorriso, quello sguardo severo che riservava ai suoi calciatori, figli, allievi, cadetti della premiata accademia Mihajlovic del pallone, hanno lasciato il posto negli ultimi mesi alla faccia sorpresa del Sinisa mortale, quello che si accorge che persino lui, l’inossidabile guerriero, può perdere addirittura la guerra, non solo una battaglia.
E il guerriero ci ha provato, sino all’ultimo, a prendere in giro la morte: da una corsia d’ospedale alla panchina, dal campo a casa, senza un cedimento, che fosse uno, all’autocommiserazione.
Persino un esonero col Bologna, perché non si dicesse mai che il leone resta in sella perché malato.
Un uomo integrale, un maestro per i suoi ragazzi, un motivatore straordinario, come quello che prende il Catania ultimo in classifica e lo porta alla salvezza, passando da una incredibile vittoria in casa della Juve, da fanalino di coda.
Ci mancherà come possono mancare i personaggi mai banali di un mondo banale come spesso è quello del calcio: lui, Sinisa, con la schiena dritta in campo, fuori dal campo, in panchina, davanti alle telecamere, sempre sincero, con la scorza dura di chi deve proteggere un grande cuore.
Adesso Sinisa, come le aquile, vola lassù in cielo, per insegnare agli Angeli come si può, per il gusto del paradosso, essere persone vere.