
Il Re è morto, viva il Re?
Impossibile.
Edson Arantes do Nascimento è volato in cielo, lasciando un vuoto incolmabile in quell’Olimpo degli dèi del calcio al quale possono iscriversi pochissimi artisti del pallone.
Pelé è stato il tutto, campione col sorriso di un calcio passato nei suoi anni dal bianco e nero al colore; un passaggio che valeva per tutti, tranne per lui, iridescente e vivido funambolo carioca, brasiliano nell’animo, nel cuore, nei nobili piedi.
‘O Rey resterà testimone iconico di più epoche, campione assoluto capace di vincere tre Mondiali, nel 1958, nel 1962 e nel 1970, divertendosi e divertendo, con quell’allegria scanzonata così difficile da ritrovare nei giocatori pur bravissimi dell’era tecnologica e iper-comunicativa.
Danzava, ondeggiava, scartava.
E segnava, tanto: 1281 gol in 1363 incontri, con una media di 0,92 realizzazioni a partita.
Inutile sporcare tanta bellezza con i mille paragoni su chi sia stato il migliore di sempre.
È lo stesso Pelé che abbiamo visto e rivisto, col braccio incollato al petto, in “Fuga per la Vittoria”, fortunata pellicola hollywoodiana, accanto ad attori del calibro di Sylvester Stallone, Michael Caine o Max Von Sidow.
A proprio agio, davanti alle telecamere come sul campo, pur fra le serpentine che il gioco e la vita ti costringono a fare fra gli ostacoli.
‘O Rey ha provato a dribblare, senza riuscirci, anche il terribile tumore al colon che oggi, ottantaduenne, lo strappa alla vita terrena: ha combattuto, fino allo sfinimento, ha chiesto e ottenuto l’affetto e l’amore dei propri cari, mentre tutto il mondo e gli amanti della bellezza hanno pregato per lui, come se fosse un fratello, un amico, un compagno di giochi.
Le preghiere oggi diventano lacrime, emozioni e quel brivido che corre lungo la schiena rivedendo le immagini del più grande con la maglia che lo ha consacrato alla storia: adeus, brasileiro de pés de ouro e sorriso contagiante.
Os mais velhos estarão lá para sempre.