La coraggiosa scelta dell’atletica femminile

Abbiamo sempre creduto nella forza unificatrice dello sport, nel suo essere portatore di valori e principi che dall’alto di valutazioni oggettive riuscivano a trasmettere il più puro messaggio di valutazione democratica. La notizia arrivata da World Athletics, l’organo di governo dell’atletica, per bocca di Sebastian Coe, va in tal senso: le donne transgender che hanno attraversato la pubertà maschile saranno escluse dalle competizioni femminili.

Le regole della federazione internazionale lasciavano libertà di partecipazione agli atleti e alle atlete transgender, permettendo loro di partecipare alle competizioni nelle categorie corrispondenti al loro genere di elezione, a condizione che soddisfino determinati requisiti. In particolare, gli atleti transgender devono dimostrare che i loro livelli di testosterone nel sangue sono stati mantenuti al di sotto di determinati limiti per almeno un anno prima della competizione. Una questione questa che creava un disallineamento e che andava in direzione opposta rispetto a ciò che è alla base di tutto: la lealtà nella competizione.

Perché di questo parliamo: di condizioni di gara diverse e di una situazione che comprometteva la regolarità delle gare e non solo per il livello di testosterone. Ad esempio, ci sono differenze di massa muscolare e densità ossea tra gli uomini e le donne che possono influire sulle prestazioni atletiche, anche se il livello di testosterone è stato ridotto. Ecco perché plaudiamo a questa decisone, che rimette l’atletica femminile nei giusti binari della correttezza ridando credibilità competitiva a diverse discipline e ad uno sport, vittime di un uguaglianza a tutti i costi.

Carlo Galati

Il salto che ha cambiato tutto

Sono pochissimi gli atleti capaci di lasciare un’impronta definitiva nello sport. Un gesto, una prestazione, un risultato, che restano issati sul pennone più alto, dove sventola la loro bandiera. Uno solo però è riuscito, non soltanto a lasciare quell’impronta, ma a modificare totalmente quella disciplina è quello sport. Si chiamava Dick ed è il padre del Fosbury Flop.

Sua è l’invenzione della tecnica dorsale per scavalcare l’asticella che lo studente dell’Università dell’Oregon elaborò in quanto in grande difficoltà con lo stile ventrale e che, da quasi sessant’anni, saltano tutti con risultati straordinari, dal cubano Javier Sotomayor detentore dei record mondiali all’aperto (2,45) e indoor (2,43) della specialità a Gimbo Tamberi, campione olimpico in carica in comproprietà con il collega Barshim.

È stato un rivoluzionario, uno di quelli da libro di storia per intenderci. Ha rotto uno schema e lo ha fatto permettendo al proprio sport di vivere una nuova vita, tracciando parabole che si inarcano verso vette mai toccate prima. Ci ha lasciato Fosbury con un ultimo grande salto, staccando e inarcandosi ancora una volta verso l’alto, questa volta per non atterrare più.

Carlo Galati

Ceccarelli d’oro e la sfida al Re

Il 19 febbraio ad Ancora, nessuno lo ha visto arrivare. Neanche il campione olimpico e mondiale sui 60 metri indoor, sua maestà Marcel Jacobs. Su Samuele Ceccarelli, dopo quella vittoria, i riflettori si sono accesi: impossibile non vederlo di nuovo, ma risultato è stato lo stesso anche agli europei di Istambul: Ceccarelli primo, Jacobs secondo. È tripudio italiano.

Il distacco è stato minimo, come sempre in queste gare, a questi livelli. Due soli centesimi che hanno rappresentato un passaggio di consegna sul trono d’Europa su una specialità che finora aveva visto Jacobs dominare in lungo e in largo ma va bene così. Va bene perché la vittoria di Ceccarelli è il secondo posto di Marcel rappresentano lo stato di salute, ottimo, della velocità italiana, che ha avuto dopo quelle giornate magiche di Tokyo una nuova vita.

E va bene anche a Jacobs che ha un avversario degno di questo nome in casa. Un compagno di nazionale che arrivato dalle retrovie ha piazzato quel colpo di reni che vuol dire sorpasso. Questo dualismo tutto azzurro non può che fare bene a tutti, soprattutto in prospettiva. Perché va bene i 60 indoor ma i 100 outdoor sono, per certi versi, un’altra disciplina, che adesso avrà un aspirante re ed un re che farà di tutto per difendere il suo trono.

Carlo Galati

Crippa e i leggendari 10mila

Il terzo oro italiano da Monaco arriva al termine di una gara che ha lasciato tutti senza fiato. Una vera e propria volata di duecento metri per conquistare una vittoria storica. Yeman Crippa è il nuovo campione europeo dei 10mila. L’azzurro, già vincitore del bronzo nei 5mila, nato in Etiopia e adottato nel 2001 assieme ai suoi cinque fratelli da una coppia milanese, ha superato ai 200 metri dall’arrivo il norvegese Mezngi e fissato il cronometro sul tempo di 27’46″13. Folle.

Per intensità non ha nulla da invidiare alle vittorie di Tamberi e Jacobs, emozionanti e adrenaliniche nello spazio di un salto o di 100 metri corsi col fiato in gola. Eppure erano i diecimila metri, una gara che potrebbe essere considerata noiosa; niente di più falso. È stata persino più intensa perché inattesa, non preventivabile a priori. Non così.

Crippa con questa vittoria associa il proprio nome a quelli di grandissimi della specialità, Cova, Mei e Antibo che questa gara l’avevano vinta in passato. Un solco importante all’interno del quale Yeman ha voluto inserirsi con la determinazione giusta per affiancarsi ad altre leggende italiane della specialità, diventando leggenda a sua volta.

Carlo Galati

GimbORO

È inutile girarci troppo attorno: quando conta fare il risultato, al netto dei problemi di varia natura e forma, i campioni vengono fuori, lasciando nella storia, il proprio marchio. Ci aveva pensato qualche giorno fa Marcell Jacobs, ci ha pensato Gianmarco Tamberi. E non sembri un caso che i loro destini siano incrociati nelle strade che portano al successo, oro chiama oro; vittoria chiama vittoria.

Così è stato a Tokyo, così è a Monaco dove si è arrivati passando per la delusione mondiale di Eugene, perché anche quelle servono. Nessuna strada che porta alla vetta non è lastricata di difficoltà e amarezze che i veri campioni sanno trasformare in carburante per raggiungere la vittoria. Tamberi non ha solo vinto ma ha dato l’ennesima dimostrazione di saper trovare, in un costante moto perpetuo, nuove energie per saltare in alto…e ancora più in alto.

Per la precisione fino a 2 m e 30, misura che non è quella del suo personale in stagione (2,32) ma che vale molto di più. Vale un oro che sa di rivincita e che, come accaduto per Jacobs, zittisce tutti quelli che pensano che la vittoria, una volta ottenuta, debba essere sempre una costante, non conoscendo le regole dello sport. Regole conosciute a Gimbo che guarda e passa con l’ennesimo oro al collo.

Carlo Galati

Jacobs, un lampo d’oro nel cielo di Monaco

Il campione olimpico di una disciplina è, per un quadriennio, il punto di riferimento per tutti. Le sue mosse vengono analizzate con il lanternino, gli avversari ne studiano i segreti, tutti ne parlano. La vita sportiva, e non solo, di Marcell Jacobs dopo Tokyo è stata quasi vivisezionata; ci potrebbe stare se consideriamo che prima dell’oro olimpico non in molti ne conoscevano le virtù. Quello che non ci sta è la critica selvaggia di chi non ha neanche il rispetto per un campione. Olimpico per di più.

In questo 2022 ha prima vinto il mondiale indoor poi ha dovuto saltare i mondiali outdoor per un problema muscolare che ne rendeva impossibile la potente falcata, depotenziando l’immenso arsenale in suo possesso. Una scelta da fare in vista degli Europei che, per i giochi del calendario dovuto allo stop per pandemia del 2020, ha visto slittare tutto di un anno sovrapponendo gli eventi. Ha avuto ragione lui: Marcell Jacobs ha vinto l’oro.

E se in molti, strappandosi le vesti, ne avevamo già messo in dubbio le potenzialità, derubricandolo a lampo nel nulla, il lampo ha dato un segnale forte, ancora una volta, correndo veloce e fermando il cronometro a 9,95. Tanto basta per zittire tutti, dimostrando di essere il campione che è e che sarà.

Carlo Galati

Stano ma vero: Massimo è ancora d’oro

L’ultima medaglia d’oro ad un mondiale di atletica portava la firma di Giuseppe Gibilisco che nel 2003 a Parigi riuscì a saltare con l’asta più in alto di tutti. Dopo 19 anni di attesa è dalla strada, dalla marcia che arriva quella medaglia d’oro tanto attesa. A vincerla è uno degli eroi di Tokyo, Massimo Stano.

E non è un caso che sia lui a ripetersi a distanza di un anno, in una distanza inedita la 35 km che forse lo esalta, se possibile, ancora di più della 20. Massimo Stano con una gara perfetta sotto l’aspetto tecnico ma anche tattico di gestione delle forze, ha dominato la scena facendo la differenza negli ultimi chilometri quando ha deciso di rompere gli indugi e scappar via in progressione.

Per la marcia è il sesto titolo mondiale dopo quelli di Maurizio Damilano (1987 e 1991) e Michele Didoni (1995) nella 20 km, Anna Rita Sidoti nei 10.000 (1997) e Ivano Brugnetti nella 50 km (1999). Sulle strade di Eugene, Stano ha scritto una delle pagine più belle dell’atletica azzurra.

Carlo Galati

Ode ad Allyson Felix, campionessa totale

“Olimpionica, mamma e avvocato” così la definisce Google cercandone oggi il suo nome. Allyson Felix è tutto questo ma soprattutto una fonte di ispirazione. Ha vinto tanto in vent’anni di carriera: 11 medaglie olimpiche, 19 mondiali, l’ultima di queste il bronzo nella 4×400 misti ai mondiali di Eugene.

È stata una stupenda atleta, dotata di una corsa sopraffina, di una falcata meravigliosamente elegante nel suo incedere, micidialmente efficace nei risultati. Ma la sua è una storia di vittorie anche lontano dalla pista; è la storia di una ragazza che ha fortemente rivendicato il diritto ad essere madre e che per quel diritto ha sfidato la vita e la Nike. Stava per morire durante il parto Allyson e non ha avuto paura di affrontare, da avvocato, la sua battaglia contro il colosso della moda sportivo che riduceva dell’80% il proprio compenso alle proprie atlete incinte.

Ha vinto tutte e due le battaglie, con il sorriso enorme di chi sa di aver lottato non solo per se stessa ma realmente per cambiare le cose. E le ha cambiate. Ha scritto la parole fine alla sua carriera da agonista lasciando in tutti noi una profonda tristezza mista a gioia, nel non vederla più gareggiare, nell’averla vista vincere. Tutto.

Carlo Galati

Marcell Jacobs, il mio 2021 in 100 metri

Ci siamo consumati i polpastrelli a scriverlo, le cornee a leggerlo: sappiamo quanto il 2021 sia stato foriero di successi per lo sport italiano. Non staremo qui a ricordare tutto o a rivangare quello che potremmo già chiamare passato. Con lo sguardo ormai già nel 2022 ma con il cuore ancora saldamente ancora al sogno dell’anno che sta per finire, c’è un momento, tra i tanti, che mi ha fatto quasi scoppiare il cuore e bloccare il respiro: apnea sostanziale di quasi dieci secondi.

I 100 metri di Marcell Jacobs in quella fantastica notte giapponese, primissimo pomeriggio italiano sono quella sensazione di impossibile che diventa concreto che mai avrei pensato di vivere. Quegli istanti, quella gara. Oro. E poi l’abbraccio con Tamberi anche lui glorificato della gloria olimpica solo qualche minuto prima, nel salto in alto. Non è un caso che la bibbia dell’atletica mondiale, ‘Track and Field News‘, li abbia incoronati, insieme ad un altro campione olimpico azzurro, Massimo Stano, atleti dell’anno nelle loro rispettive discipline.

In buona sostanza l’anno d’oro e per certi versi irripetibile, dello sport italiano ha lasciato un segno indelebili in chi le ha compiute quelle imprese e in chi le ha vissute, scritte e raccontate. In me resterà vivo il ricordo in eterno, di un ragazzone che correva veloce in un caldo pomeriggio d’agosto, così veloce da sentire il dolce sollievo di un refolo di vento figlio del suo incedere maestoso e regale. Fino all’oro.

Carlo Galati