Cambiare tutto affinché tutto resti com’è

Non è cambiato nulla. Lì eravamo rimasti, lì ci ritroviamo, solo quattro mesi dopo. Verstappen dominante e Ferrari in difficoltà, il copione è sempre lo stesso, nonostante le evoluzioni tecniche e ingegneristiche, nonostante il cambio al muretto. Un anno è iniziato e sembra già finito.

Non vogliamo essere catastrofisti, ma a differenza degli altri anni è andato tutto storto fin dall’inizio. Anche in qualifica, dove Lerclerc riusciva a dire la sua, lo scorso anno, pur tra mille difficoltà, alla ripartenza in Bahrein non è andata bene neanche lì. Sentire il suo team radio, una volta capito che la sua SF-23, lo stava abbandonando è stato un colpo al cuore.

Come due schiaffi in pieno viso è la doppietta in casa Redbull: primo Max secondo Perez, come a dire “amici anche quest’anno è chiusa in partenza”. E già perché se il buongiorno si vede dal mattino, la giornata sarà lunga e per nulla semplice. Speriamo almeno non sia una disastro totale. Ci si aggrappa a Leclerc, l’unico in grado di riaccendere una speranza a condizione che sia però sostenuto da una macchina alla sua altezza. Sperem.

Carlo Galati

La F1 sempre più Circus, sempre meno credibile

Max Verstappen è stato il pilota più forte del mondiale di Formula 1, ha meritato, da pilota, di rivincere quello che aveva già vinto lo scorso anno. E fin qui tutto ok…o meglio, quasi ok. Perché l’olandese ha vinto, anzi stravinto guidando anche l’auto migliore, ma siamo sicuri sia davvero così? Gli sviluppi sulla RB13 rientrano all’interno del budget cap? E poi, come non definire “ridicola e inaccettabile” (Binotto dixit) la decisione della FIA di declassare Leclerc dopo l’arrivo in Giappone dando così aritmeticamente la vittoria a Verstappen?

Interrogativi aperti che troveranno in parte una risposta nei prossimi giorni quando verrà discusso il tema dello sforamento di budget della casa austro/francese, ma intanto? Intanto abbiamo un bicampione del mondo che, nonostante l’indubbio valore, nonostante sia stato il più forte, ha conquistato il titolo tra mille dubbi e domande. Che non meritava.

Eppure questo circus della Formula 1 è sempre più simile alla radice pura del termine, che trasforma il tutto in un grande carrozzone, dove la serietà si mette da parte e dove si spera, come nel circo vero, non siano i parrucconi a comandare.

Carlo Galati

Ferrari, il perché di un disastro

Mondiali di Formula 1 ne abbiamo visti tanti, fin da quando ne abbiamo memoria. Cresciuti a pane ed Ayrton Senna, il rito del gran premio è qualcosa che non si può neanche tramandare: o è tuo o non lo sarà mai. Tante le stagioni viste e seguite ma mai nessuna così; mai con la sensazione che in gara ci fosse il binomio auto/pilota migliore ma con la consapevolezza che non sia sufficiente, che durante la gara qualcosa di spiacevole possa accadere. Leclerc e la Ferrari sono quel binomio.

E per l’ennesima volta, non bastassero le precedenti, quasi come fosse un rito a cui non ci si può sottrarre, anche in Ungheria la Ferrari per mano del suo muretto, rappresentato da Mattia Binotto, ha dato prova della sua inadeguatezza. Andando oltre il tema pneumatici, un team principal che giustifica il flop, spostando l’attenzione sulla vettura che “non andava”, parole sue: non è quella che potremmo definire una genialata in termini di comunicazione.

Fatto sta che l’occasione sembra perduta e il mondiale andato. Charles, il più forte pilota sulla piazza insieme a Verstappen, ostaggio di tutto questo. Perché insistere?

Carlo Galati

Leclerc e il paradosso Ferrari

Solo una settimana fa chiedevamo che il soldato Charles fosse salvato dallo sfracello all’interno del quale la Ferrari e le scelte del muretto, lo avevano gettato. Possiamo scrivere che si è salvato da solo, con la sua immensa classe, vincendo e arrivando fino alla fine con molta fatica, causa, more solito, una vettura non all’altezza.

La Ferrari versione 2022 è una vettura che secondo la sua natura, in relazione a quanto succede in pista non è fatta per vincere ma lei non lo sa e prima con Sainz e ora con Leclerc, vince. Non ditelo oggi a Carlos però, che stava per raggiungere Verstappen e probabilmente sarebbe andato a podio. Ditelo invece a Charles che nonostante l’acceleratore difettoso è riuscito ad arrivare fino in fondo.

È vero c’è qualcosa di romantico in tutto questo che riporta a gare del motorsport dove a vincere era prima il pilota e poi il mezzo meccanico. Ma quando come nel caso di Leclerc hai un pilota genialmente predestinato alla guida, non dotarlo di un mezzo affidabile è una sacrilegio, che in Austria ha portato alla vittoria ma che, alla lunga, potrebbe costare caro. Un mondiale, nello specifico.

Carlo Galati

Salvate il soldato Charles

Nel giorno della vittoria di Carlos Sainz a Silverstone, nel giorno in cui la Ferrari torna sul gradino più alto del podio, in quel giorno in cui l’orgoglio ferrarista dovrebbe gonfiare nuovamente il petto, c’è un retrogusto amaro che rovina, in parte, la gioia di una vittoria.

C’è chi lo chiama sabotaggio, chi boicottaggio. No, non credo si possa arrivare ad utilizzare concetti che non trovano nella sfera sportiva la giusta collocazione semantica; più semplicemente si tratta di inettitudine. O se volete di impreparazione. E a pagarne le conseguenze è sempre e solo Charles Leclerc, anche oggi vittime sacrificale di una strategia che non ha avuto senso. Sì, la gara l’ha vinta Sainz ma perché non effettuare il cambio gomme durante la safety car, unico a non rientrare nei box?

Sono situazione estemporanee che si sommano alle tante altre nella stagione e che potrebbero costare molto caro in termini di obiettivo finale, ovvero il mondiale piloti. L’occasione era ghiotta con un Verstappen oggi con problemi tecnici che lo hanno relegato nelle retrovie. Oggi la Ferrari ha vinto, godendo dell’uovo oggi. La gallina domani forse sarà bollita; come il muretto Ferrari.

Carlo Galati

E tu, dov’eri quando Ayrton è morto?

È una delle domande a cui forse tutti sappiamo e sapremo dare sempre una risposta. Uno di quei momenti che hanno fermato non solo la vita di un uomo per sempre, ma in piccola parte anche la vita di tanti altri, fosse solo per un piccolissimo interminabile istante.

Erano le 14:17, gran premio di San Marino, corso ad Imola, curva del Tamburello. Il piantone dello sterzo a terra, i soccorsi, le lenzuola bianche a coprire gli occhi delle telecamere che non volevano essere indiscreti. Volevamo tutti sapere, non per morbosità, ma per affetto. Poi la radio che faceva rimbalzava notizie confuse, fino a quella definitiva; erano circa le 19 quando la sentenza arrivò definitiva. Ayrton è morto.

E con lui, un pezzo di chi gli ha voluto bene

Carlo Galati

L’ossessione di Charles

L’ossessione della vittoria, del primato non è qualcosa che puoi inventarti: o ce l’hai dentro quel fuoco, che arda e ti consuma, o non lo puoi accendere. Ci si nasce così. Ci si nasce con l’ossessione della vittoria e del primato.

C’è nato, per fortuna nostra e di chi ama la Ferrari, Charles Leclerc, monegasco di nascita italiano d’adozione. Non vorremmo tanto soffermarci sulla vittoria a Melbourne e sul primato in classifica mondiale dopo tre gare e con un distacco già importante, in termini di punti sugli altri piloti. No. Parliamo d’altro.

Dopo averne ottenuti due nelle prime due gare, il ventiquattrenne aveva già il giro record, e tendenzialmente si capiva che nessuno avrebbe potuto toglierglielo, e in un primo team radio Leclerc si sente chiedere al suo team se aveva bisogno di fare il giro veloce. La risposta è stata: “No, va bene così, è già il tuo”. Ma il leader del Mondiale voleva la certezza del giro veloce. E invece che gestire, sicuro anche dalla sua Ferrari, pur sapendo che non erano in discussione la vittoria, voleva avere la certezza del giro veloce. L’ha ottenuta battendo se stesso e il suo giro. Il messaggio è chiaro: l’ossessione della vittoria passa in primis dal battere sempre se stessi. Nella speranza che il mondiale di F1, quest’anno, viva su questa lotta.

Carlo Galati

Nel deserto del Bahrein rifioriscono due rose Rosso Ferrari

I test lo avevano detto, in maniera equivocabile, ma novecento giorni senza vittorie inviterebbero alla prudenza anche gli inguaribili ottimisti.

Nel deserto dorato del Bahrein Leclerc centra il “Grande Slam”: pole position, primo posto e giro più veloce, con una Ferrari affidabile e bellissima, capace di portare sul podio anche Carlos Sainz, nonostante un fine settimana complicato per lui. Segnali orribili sul fronte Red Bull, con Verstappen e Perez che trovano lo “zero” fermando le monoposto a pochi chilometri dalla bandiera a scacchi e denotando problemi di affidabilità non pronosticabili alla vigilia.

Le peggiori Mercedes degli ultimi anni si ritrovano, inaspettatamente, terza e quarta, limitando i danni e restando aggrappate a un Mondiale da possibile protagonista, nonostante il “budget cap” tolga loro il vantaggio di spendere e spandere senza limiti per lo sviluppo delle monoposto.

La notizia, però, è a tinte rosso Ferrari.

La scuderia di Maranello “è” la Formula 1, è parte fondamentale di questo circo fatto di motori, sviluppo e alta tecnologia; e ai piedi di quel podio, in fondo, sorridono tutti, dentro e fuori il team guidato da Mattia Binotto.

Sorridono perché una Ferrari competitiva aiuta a rendere meno noioso quel rosario di Gran Premi che ritrova finalmente il pubblico e il fattore umano, grazie a monoposto che hanno sempre più bisogno di un pilota capace di portarle al massimo.

E attira investitori e visibilità.

Risuona l’inno di Mameli e il Mondiale ritrova una protagonista, anzi due.

Sarà battaglia, fino alla fine, ne siamo certi; ma sapere che a combattere ci saranno di nuovo due superman con il cavallino rampante marchiato a fuoco sulla pelle, in un solo istante fa ritornare la voglia, parafrasando il Maestro Battiato, di “vivere ad alta velocità”.

Mai finale fu più bello

La gara l’avete vista tutti, inutile stare qui a raccontarla, perderemmo tempo. È difficile infatti trovare delle parole che riescano a raccontare una gara chiusa e poi riaperta, vinta da Hamilton e poi da Verstappen. Ad Abu Dhabi è andata in scena la sana follia del motorsport.

Il regno di Lewis Hamilton è caduto all’ultimo giro di una gara di cui si parlerà nei secoli a venire, proprio mentre l’inglese stava volando verso l’ottavo titolo, quello con cui avrebbe staccato Michael Schumacher. E invece la magia di questo campionato aveva in serbo un ultimo, clamoroso, colpo di scena: il ribaltone all’ultimo giro. Che non sarebbe stato possibile senza l’incidente di un pilota sin qui nell’anonimato, ma di cui ora tutti ricorderanno il nome, Nicholas Latifi.

E ricorderemo tutti che al termine di questo mondiale combattuto in pista e fino all’ultimo fuori pista, con parole e gesti anche eccessivamente sopra le righe, l’ormai ex numero 1 del mondo ha reso omaggio con signorilità al suo successore, dimostrando l’inglese, di essere il campione che è. Cosa sarebbe accaduto al contrario? Non lo sapremo mai ma lasciateci qualche dubbio in proposito. La strada per essere campioni passa anche lontano dalla pista. Avrà modo di imparare, Max. Only che champions.

Carlo Galati