LeBron oltre ogni record

Sono da poco passate le 4 del mattino da questa parte del mondo. in corso una normale partita di regular season NBA tra i Los Angeles Lakers e Oklahoma City Thunder. Il tutto accade nel terzo quarto della sfida: un tiro in sospensione e via. LeBron James ha abbattuto il record di punti di Kareem Abdul-Jabbar (38387 punti) ed è il miglior marcatore di sempre nella storia della Nba.

In queste occasioni si tende spesso ad abusare del termine “storia” e dei vari aggettivi annessi e connessi. Mai però come in questo caso definire in tal modo quanto accaduto può rendere l’idea di un’impresa, di un muro abbattuto dopo oltre 40 anni, sfidando il limite dell’oggettività, trascendendo verso un confine che sembrava invalicabile ma che invece è stato spostato ancora più avanti.

Quanto però non lo sappiamo ancora perché il ragazzone di Cleveland tutto sembra men che un atleta sulla strada del tramonto. Certo, le primavere sono 38, ma la voglia di continuare è ancora tanta. Perché non è solo una questione di punti, una fredda roba aritmetica. È arte applicata allo sport, gesti tecnici che impreziosiscono i record dell’uomo che ha segnato più punti di tutti: 38.390 and counting.

Carlo Galati

Il paradiso (non) può attendere.

L’Italia del rugby alla pari coi maestri francesi.

A un passo dal toccare il cielo con un dito.

Anzi, a una meta da una vittoria che sarebbe stata persino meritata contro i “galletti” francesi, una delle Nazionali più forti del mondo e candidata alla vittoria nella prossima rassegna iridata.

Dopo la sbornia dei test-match tutti aspettavano al varco gli uomini di Crowley, per capire se i progressi visti fossero la conferma di una mentalità differente e di una consapevolezza nuova o l’ennesimo fuoco di paglia.

E oggi abbiamo visto tutto: due errori di Varney, costati carissimi, assorbiti dalla squadra, brava a ripartire subito con una prestazione corale che dal minuto venticinque del primo tempo è apparsa a tratti straripante, soprattutto se parametrata alla forza e all’esperienza degli avversari.

Precisi sui punti d’incontro e bravi ad esplorare gli spazi, abbiamo un po’ sofferto la fisicità francese, oltre alla loro maggiore dimestichezza nel gestire i momenti cruciali delle partite.

Un secondo tempo punto a punto, con un finale vietato ai deboli di cuore, in quei minuti che in passato ci “regalavano” il crollo fisico degli Azzurri.

E invece abbiamo finito lì, sui cinque metri, a pochi centimetri dalla definitiva consacrazione al livello top del rugby mondiale, centrando anche il punto di bonus.

Ancora qualche ritocco, maggiore precisione e una mediana meno “svagata” e questa Italia, come successo oggi contro i transalpini, potrà giocarsela per vincere.

Il paradiso rugbistico è qui, finalmente a portata di ovale.

Il cannibale del tennis

C’era una volta un ciclista belga, che a cavallo tra gli anni sessanta e settanta dominò la scena mondiale delle due ruote, vincendo tutto e vincendo sempre, ovvero ogni qual volta si presentava l’occasione giusta per farlo. Si chiama Eddy Merckx ma è da tutti conosciuto come il Cannibale. Non lasciava nulla a nessuno, nessun calo di tensione. Nessuna pietà sportiva.

Ad oggi il parallelo con Novak Djokovic sembra immediato ma in realtà non lo è. Perché nel tennis essere un vero cannibale è molto più difficile; perdere una gara in un gran giro potrebbe non compromettere il risultato finale. Nel tennis sì. E l’ennesima dimostrazione è andata in scena nella finale dell’Australian Open vinta su Tsitsipas: 10 vittoria su 10 finali, 22esimo Slam e una striscia aperta di 28 partite consecutive vinte in Australia. Come non definirlo un cannibale?

La domanda è chi possa fermarlo. La risposta è: nessuno. Nessuno se, chi lo incontra in campo, entra già in campo sconfitto, consapevole della grandezza assolutista di chi dall’altra parte della rete, gioca e vince. Sempre. La speranza è riposta in quei giovani giocatori come Alcaraz, Rune, lo stesso Sinner: la loro giovanile sfrontatezza può essere l’arma giusta. Altrimenti il monologo è assicurato, ora soprattutto che il numero 1 è tornato al suo posto.

Carlo Galati

Too good to watch: la resa dei conti

La finale a New York fu un testa a testa tra Ruud e Alcaraz, non solo per la vittoria nell’ultimo Slam della stagione, ma anche per il numero 1 al mondo. A vincere fu Carlitos con tutto ciò che ne convenne. A soli quattro mesi di distanza e nel solco lungo di un trait d’union che unisce New York a Melbourne ci ritroviamo nella stessa situazione…o quasi.

Già perché da una parte troveremo il pluricampione del globo terracqueo, dominatore di Melbourne, primo del suo nome e con una discendenza già avviata al tennis (senza pressione), tal Novak Djokovic e dall’altra, il tennista che fa impazzire le donne, dai capelli biondi e lunghi e dalle movenze inconfondibili. No, non è Borg ma Stephanos Tsitsipas. Solo per lui sarebbe la prima vittoria Slam, per Nole la decima; ma per entrambi c’è l’accesso alla porta principale del numero 1 al mondo. Non proprio una banalità.

Insomma, le motivazioni per consigliarvi di guardare il match, ci sono tutte. Qualora non le troviate, forse è meglio che viriate verso il Padel (si scherza…). Con questa, si chiude la nostra avventura durata due settimane; speriamo di avervi ogni tanto strappato un sorriso o anche solo appassionato. “Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta”. Alla prossima (speriamo).

Carlo Galati

La zAryna di Melbourne

Ci sono voluti 4 match point ed una palla break annullata. Nel mezzo tutta una vita di sacrifici, allenamenti, partite, delusioni e successi. Sudore e lacrime, gioia e dolore. La normale routine di un’atleta che sopporta tutto questo per raggiungere quel momento. Nello specifico il momento in cui il dritto di Rybakina atterra un metro oltre la linea di fondo campo. Il momento in cui Aryna Sabalenka ha realizzato di aver vinto il suo primo Slam.

E sono dolci lacrime di gioia, di un sorriso che le riempie il cuore di una dolcezza che tradisce la forte fisicità che rappresenta. Il sorriso di una ragazza che ha giocato il tennis migliore che possiede, battendo non solo la sua avversaria sul campo ma anche quella che nella sua testa l’ha costretta ad errori che potevano costarle caro.

È stata una partita muscolare, come ci aspettavamo; una bella partita. È vero, saranno mancati i colpi di tocco, leggeri e spettacolari ma…è difficile vederli ovunque. È il tennis moderno, baby. Ed è proprio di questo tennis che Aryna è testimonial ideale e perfetto. E la sua firma, nel registro delle più grandi non poteva mancare.

Carlo Galati

Too good to watch: day 10

Inutile dirvi che non siamo stati lì con il lanternino a dirci, che “partita/e consigliamo oggi”? Abbiamo superato i pruriti adolescenziali delle prime giornate, adagiandoci su una pace dei sensi tipica dell’età adulta che, nel caso specifico, rappresentano il finale di una storia Slam. Dunque, visto il panorama dei match rimasti, non è stato molto difficile proporre come match du jour, Rublev-Djokovic.

Il russo, se Tsitsipas dovesse sventuratamente non raggiungere la finale, rappresenterebbe l’ultimo ostacolo di Nole verso la decima australiana e il 22esimo Slam. Alternative a questo quadro oggettivamente non ne vediamo almeno che non si valutino, con il massimo rispetto verso le autorità più o meno riconosciute, Shelton o Paul degli avversari temibili per Djokovic. Ecco qualora la pensiate diversamente abbiamo qualcosa da dirci, magari in privato.

Detto questo, ci auguriamo una bella partita, combattuta che possa dare l’illusione che a vincere sia l’altro, salvo poi vedere le braccia alzate di chi sta sfidando la storia ed i record, prima di qualunque altro avversario.

Carlo Galati

Too good to watch, day 8: Rune-Rublev piatto del giorno

È la partita più interessante in una parte di tabellone che ha francamente poco altro da dire, Djokovic a parte. Rublev-Rune può essere il match di giornata, ed è anche piuttosto semplice predirlo. Non che ci siamo montati la testa, visti i risultati finora ottenuti con questa rubrica ma perché per Shelton-Wolf non ci stropicciano gli occhi.

Un solo precedente tra i due, a Parigi lo scorso anno (ricordate il ragazzino biondo terribile?! Ecco…), è un percorso finora agli Australian Open piuttosto netto per i due; solo Rublev ha lasciato per strada un set ma più per noia che per oggettiva inferiorità tecnica a Ruusuvuori.

Che partita sarà? Probabilmente un incontro che vedrà i due scambiare da fondo campo provando entrambi a sfondare con il dritto o con il cross di rovescio. Partita muscolare di quelle alle volte ignoranti ma di sicuro avvincenti, perlomeno nel punteggio. Ci auguriamo sia così, anche perché sto giro rischiamo anche noi la figuraccia ma, a volte, bisogna accontentarsi.

Carlo Galati

Sinner, il momento arriverà

Sul 2-0 abbiamo letto e visto avvoltoi volare sopra la testa di Jannik, pronti ad avventarsi sulla preda, pronti a festeggiare. Ma non è tempo per loro e forse non lo sarà mai. Perché Sinner ha perso sì, ma recuperando una partita che sembrava persa con la forza dei grandi. La sconfitta al quinto con Tsitsipas ci può stare. Peccato; quella parte di tabellone avrebbe riservato una corsia preferenziale verso un obiettivo raggiungibile.

Ci eravamo detti che questa partita avrebbe dato un segnale del tempo passato, dandoci la misura del tempo passato; un anno dopo, stesso torneo, stesso avversario. Rispetto allo scorso anno impossibile negare i miglioramenti. Ignorarli significherebbe essere in malafede o semplicemente non capire nulla di questo sport.

Certo, è pur sempre una sconfitta con un signor giocatore che, seppur idolatrato, non ha ancora uno Slam in bacheca. Significa che i giocatori vanno aspettati e il processo di crescita è diverso per tutti. Non tutti devono essere Djokovic, Nadal o Federer e neanche Alcaraz. Arriverà il tempo di Sinner; bisogna avere fiducia…e pazienza.

Carlo Galati

Too good to watch: Sinner all’esame di greco

Se avete avuto la pazienza di seguirci fino a qui, sapete che in questo piccolo spazio sociale vi abbiamo suggerito cinque match da guardare nel mare magnum delle partite dei primi tre turni. Ora, con gli ottavi, le scelte sono gioco forza obbligate. La prima riguarda l’ultimo nostro portabandiera impegnato nel match di ottavi con Tsitsipas.

Cosa dire? Tanto ci sarebbe da scrivere per introdurre la partita ma, per opportunità, analizzeremo un aspetto su tutti. Un anno è passato da quella partita di quarti di finale che da Melbourne avrebbe potuto far iniziare una stagione diversa per Jannik. È andata come sappiamo, con la separazione da Piatti e l’inizio della collaborazione con Vignozzi e Cahill.

Cosa è stato fatto in un anno non può essere riassunto ovviamente in un match, ma è altrettanto ovvio che giocare con lo stesso avversario, nello stesso campo, alla stessa ora dà il senso di ciò che è stato fatto e di ciò che sarà. Le possibilità di fare bene ci sono tutte, l’avversario è solido, forte e determinato ma battibile. L’occasione per quel salto che Jannik merita, è a portata di mano. Bisogna saperla cogliere. I tempi sono maturi.

Long live, sir Andy

Da questa parte del mondo sono da poco passate le 18, in Australia le 4 di mattina. Andy Murray e Thanasi Kokkinakis sono in campo da oltre cinque ore quando, un magnifico rovescio lungolinea di Sir Andy squarcia la notte di Melbourne, annunciando il sorgere del sole.

Le dieci ore in campo in due giorni di gara sono la più bella dichiarazione d’amore di un trentasettenne, parte vitale della generazione di fenomeni, che ha monopolizzato il tennis dell’ultimo ventennio. E lo sono proprio in Australia quando, non più di tre anni fa, sembrava essere finita la sua carriera.

Invece la sua anca in titanio, combinata con una volontà d’acciaio, hanno piegato tutto: il tempo, gli acciacchi e la voglia di smettere. Un cuore grande come le Highlands scozzesi e la voglia di restare attaccato al tennis giocando la partita più lunga della sua carriera sportiva. Roba che neanche ai tempi d’oro, ammesso e non concesso che questi siano tramontari definitivamente. Intanto, godiamocelo ancora.

Carlo Galati