Postcards from Tokyo #15

4×100, Italia d’Oro e d’Alta Velocità

La solidità di Patta, l’esplosività di Jacobs, la curva di Desalu, il talento lanciato di Tortu: shakerare nella notte giapponese, sul bancone dorato delle Olimpiadi più incredibili della storia, e il cocktail è micidiale.

Il quinto Oro nell’Atletica è il termometro del movimento, la cartina al tornasole, l’assicurazione sul futuro glorioso della velocità azzurra e dell’Atletica.

Nell’anno del lockdown, mentre gli statunitensi lottavano contro l’azzeramento delle sponsorizzazioni e la crisi dei talenti, alle nostre latitudini si è lavorato a testa bassa, puntando sui successi a livello giovanile della nostra atletica e sulla valorizzazione di gente come Jacobs e Tamberi, sulla maturità agonistica dei marciatori, sull’entusiasmo di una Nazionale giovane.

E forte.

La 4×100 che mette il muso davanti a tutti è da “orgasmo” sportivo, quanto e come i 100 metri di Marcell, con quella sfrontata dimostrazione di forza e di geometrica potenza: quattro cambi quasi perfetti e quella frazione lanciata dell’enfant prodige deluso, ma concentrato proprio sulla staffetta, magnifica ossessione.

Battuto l’inglese, sul filo di lana, ai rigori, tutti gli altri lontanissimi, ad osservare impotenti le terga del quartetto veloce più bello del mondo, con il Tricolore moltiplicato per quattro a sventolare ancora sul pennone di questi Giochi, fra un Inno di Mameli e l’altro a ricordarci che questo è il decimo squillo, il quinto nell’Atletica.

È bellissima, e dolcissima, la notte azzurra di Tokyo, nell’Olimpiade dei record, nella quale tradiscono solo gli sport di squadra, tranne una: la storica 4×100 metri piani di Patta, Jacobs, Desalu e Tortu.

Postcards from Tokyo #13

Antonella, Oro di Puglia

Dopo Stano, un’altra faticatrice nata e cresciuta nel tacco dello Stivale: è la pugliese Antonella Palmisano, atleta trentenne che ha dominato la venti chilometri di Marcia e centrato l’ennesimo oro della incredibile spedizione azzurra dell’Atletica.

Stesso allenatore di Stano, stessa infanzia condita con l’olio buono e piccante di Puglia, stessa maturità agonistica a schiantare avversari lasciati lontani, senza la necessità di “sporcare” la tecnica di marcia per andare più forte.

Guardi in faccia Antonella e ti vengono in mente Maurizio Damilano, Abdon Pamich, Sandro Bellucci, Annarita Sidoti, Giuliana Salce, Ileana Salvador, Elisa Rigaudo, Eleonora Anna Giorgi, Giorgio Rubino, Ivano Brugnetti, Michele Didoni, Giovanni De Benedictis.

E forse dimentichiamo qualcuno.

La marcia, insomma, quel mondo incredibile nel quale la fatica non è tutto, perché bisogna anche dimostrare perfezione nel gesto atletico e doti strategiche in gare, spesso, ad eliminazione.

La marcia generosa, praticata da gente generosa, per una Italia dell’Atletica che ha sbancato Tokyo, contro ogni pronostico, ben al di là di ogni previsione.

Oggi sul gradino più alto c’è la marciatrice di Mottola, la ragazza con il fiore portafortuna in testa, cucito dalla madre, per far capire al mondo che non sappiamo solo soffrire, ma anche vincere, tanto e bene.

Postcards from Tokyo #12

Stano, in Marcia verso l’Oro

Neanche gli aruspici più ottimisti avrebbero letto i segnali provenienti dalla Regina dei Giochi, così avara di soddisfazioni nelle ultime edizioni e in crisi nerissima di risultati.

Dopo la pista, con i sigilli di Jacobs e Tamberi, è la strada a dare un’altra soddisfazione all’Italia, con il passo di marcia del ventinovenne di Palo del Colle, Massimo Stano.

Tacco e punta devastanti, dal primo all’ultimo chilometro, a sfiancare la resistenza dei due Samurai, Ikeda e Yamanishi, e testare la propria, con una grandissima attenzione alla tecnica di marcia.

Un’azione che non lascia scampo agli avversari e che proietta Massimo lassù, su quel gradino del podio occupato nella storia da Maurizio Damilano, trentun’anni dopo Mosca ‘80.

Risorge la Marcia, risorge l’Atletica, risorge l’Italia dello sport, nonostante le delusioni provenienti dagli sport di squadra, grazie ad atleti abituati a soffrire in silenzio macinando chilometri o nuotando per ore, da soli, con i sogni nel cassetto a fare loro compagnia.

Sono loro i simboli di questa avventura olimpica, nella quale è il movimento olimpico ad uscire vincitore molto più che le foto di gruppo patinate degli ex squadroni di invincibili.

Vi vogliamo così.

Come Massimo Stano, da Palo del Colle, marciatore.

Postcards from Tokyo #8

La tempesta (d’Oro) perfetta

A Tokyo i quindici minuti che non ti aspetti: doppio oro azzurro, con Tamberi nell’alto e Jacobs nei 100 metri.

I piazzamenti, le finali, i tanti giovani sui quali la Federazione ha costruito in questi anni sulle macerie delle ultime due Olimpiadi: tutto bello, tutto giusto, ma nessuno poteva immaginare l’istantanea di Marcell Jacobs e Gianmarco Gimbo Tamberi che si abbracciano, tricolore in mano, dopo aver sbancato Tokyo in quindici minuti che resteranno nella storia dell’Atletica e dello sport italiano.

Due ori in due specialità nobili dell’atletica, salto in alto e cento metri piani uomini.

I 100 metri, la palestra privata dei colossi made in USA, Gran Bretagna e Giamaica, il tappeto rosso calpestato da Carl Lewis e Usain Bolt, oggi vengono scartavetrati da un ragazzone italiano, capace di abbattere il record europeo due volte, prima in semifinale e poi nella finale, dominata con un 9.80 stratosferico, impronosticabile, dolcissimo.

E sull’altra pedana Gimbo, il saltatore che accarezza il cielo, baciato troppe volte dalla sfortuna e perseguitato dagli odiatori seriali della rete per la sua estrosa gestione dell’immagine pubblica.

Due ragazzi campo e fatica, due lavoratori dello sport che hanno costruito questo successo con abnegazione e pazienza.

Increduli loro, increduli noi.

Quel tricolore che sventola due volte in pochi minuti, sul campo della Regina dei Giochi, è il suggello su una spedizione fino ad ora contraddistinta da alti e bassi, con tante medaglie e pochi Ori, comunque prodiga di segnali di vitalità e di programmazione in discipline che ci si ricorda esistano solo ogni quattro anni.

E non è finita.

Anche se questi due ce li sogneremo la notte, c’è da giurarci.

Un lampo, anzi due, illuminano la notte giapponese: Gimbo e Marcell, meravigliosi gemelli d’Oro di una Italia che vince anche dove conta di più, quando gli altri non se lo aspettano, facendoci impazzire di gioia.

E di orgoglio tricolore.

La vittoria di Alex si chiama giustizia

E adesso chiedetegli scusa. Chiedete scusa ad Alex Schwazer, colpevole di aver sbagliato una volta, averlo ammesso e aver pagato, come giusto che fosse. Come spesso accade, si è andati oltre. Lo si è messo alla gogna una seconda volta, accusato proprio quando stava rialzando la testa, sognando e preparando le Olimpiadi di Rio. Tracce di testosterone trovate nelle sue urine, figlie di un controllo nel giorno di Capodanno del 2016, un controllo effettuato con il solo scopo di incastrarlo. L’atleta ha sempre negato di aver fatto uso di sostanze dopanti in quel periodo contestando formalmente la validità del test e dichiarandosi vittima di un complotto internazionale. Complotto che, ora, alla luce del decreto del Gip, diventa qualcosa di più di un’ipotesi investigativa. Le contro-accuse dell’ex marciatore, infatti, potrebbero non essere così distanti dalla realtà viste le anomalie riscontrate dal colonnello del Ris di Parma, Giampietro Lago, sulle provette di urine (conservate nel laboratorio Wada di Colonia) del corridore. 

Nessuno gli restituirà più le sofferenze e il dolore di un’avventura olimpica strappatagli all’ultimo, nell’estremo tentativo di ottenere il via libera del CIO per poter partecipare alle Olimpiadi. Lo ricordiamo a Rio, da solo ad allenarsi sulla pista ciclabile di Copacabana come un corridore amatoriale, senza protezione, senza l’appoggio di nessuno, senza nessuna bandiera o federazione a tutelarlo, potendo contare solo su se stesso, come nella migliore tradizione di chi marcia per 50 km, di chi affida alla fatica estrema il pass partout per la gloria olimpica, come a Pechino. Era tra i favoriti, con un passo medio al km che lo avrebbe di sicuro portato sul podio. Non sappiamo se su quel poi alla fine ci sarebbe salito o meno, la storia dello sport non si fa con le previsioni ma con i fatti.

I fatti però parlano chiaro e dicono che quella partecipazione gli fu ingiustamente tolta e adesso dopo sei anni ottiene finalmente giustizia, ma niente gli restituirà quello che ha perso per colpa di chi non è dato ancora sapersi, di sicuro qualcuno che ha gli ha voluto del male e che ha voluto del male allo sport.

Umiliato, dileggiato, accusato come forse nessuno altro. O forse sì. Come Marco Pantani, vittima anche lui della macchina del fango e delle macchinazioni volte a distruggere il campione e l’uomo. Quella volta ci sono riusciti, oggi no. Oggi ha vinto la giustizia e la pulizia di un ragazzo che ha lavato con le lacrime l’onta del doping e che merita di essere riabilitato e di rientrare dalla porta principale dei campioni olimpici italiani. Glielo dobbiamo tutti.

Carlo Galati

MEI, COVA, ANTIBO:LA TRIPLETTA DI STOCCARDA ‘86

Tre uomini soli al comando, la loro maglia è azzurra, i nomi sono Stefano, Alberto e Totò.
Tre particelle impazzite sulla pista di Stoccarda che, venticinque anni fa, laureò Mei, Cova e Antibo padroni di un indimenticabile 10000 metri.

Li univa solo il Tricolore, loro così diversi fisicamente, così divisi da tecniche di corsa agli antipodi, fieri di una rivalità non urlata, frutto della straordinaria solitudine dei numeri primi.
La forza straripante, la solidità del campione, la fame sportiva: primo, secondo e terzo, con l’occupazione manu militari di quel podio e il racconto ai posteri di quello che contava davvero, cioè tre Italiani sui tre gradini del podio continentale, tre bandiere tutte uguali, un solo Inno.

E quelle immagini indimenticabili, accompagnate dalla voce rotta dall’emozione di Paolo Rosi: “è tutto uno scintillio d’azzurro”.
C’era una volta un’Italia che in Europa dominava le piste, soprattutto quando si trattava di soffrire e il sudore sgorgava copioso giro dopo giro.
Succederà ancora?

Mettete in loop questo video, chiudete gli occhi e correte. Con il sacrificio e l’allenamento duro anche i sogni possono diventare realtà.

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