Il gesto oltre il risultato: l’esempio di Sinner e Alcaraz

Per una volta vogliamo tornare all’essenza di questa pagina, che ama raccontare lo sport partendo da un’immagine, aggiungendo delle parole lì dove probabilmente non servirebbero: è la grande sfida da raccogliere. Non vi parlerò di quella che è la più bella vittoria della giovanissima carriera di Jannik Sinner, colta su Carlos Alcaraz, che quest’anno ha negli italiani le bestie nere degli Slam: in Australia fu Berrettini ad eliminarlo, ora Sinner a Wimbledon.

Quello che mi è piaciuto più di tutto quello che è stato, da uomo di sport e da uomo di tennis, è questo gesto, che ha un significato che va oltre il momento. Alcaraz sotto due set a zero, nell’ottavo gioco del terzo set impegna Sinner con una palla corta. Impegnandosi nel recupero, Jannik cade e Alcaraz corre subito a sincerarsi sulle sue condizioni. Quello che vedete in questo istante è la vera essenza di quello che è lo sport, è tutto.

Nel giorno in cui si celebrano i 100 anni del campo Centrale di Wimbledon, davanti a tanti eroi che quel campo lo hanno vissuto e reso immortale, questi due ventenni hanno spiegato al mondo di essere il futuro di questa disciplina. Non c’è altro da aggiungere in questo, se non che le prossime generazioni hanno trovato, si spera, l’epicità del duello in Jannik e Carlos. Ad maiora.

Carlo Galati

Jannik, così no!

Da queste pagine abbiamo sempre sostenuto e alle volte difeso, Jannik Sinner, tutelandone la crescita sportiva e umana, infondendo speranza e pazienza ai nostri pochi ma affezionati lettori e non solo. E non lo abbiamo fatto per semplice partigianeria, ma perché reputiamo che lui, insieme ad altri azzurri, rappresenti il glorioso futuro del tennis italiano. Ma proprio per questi motivi, oggi siamo delusi dalla sua scelta di non partecipare alle Olimpiadi.

Non ritenere importante questo evento o considerarlo un intoppo nel proprio percorso di crescita è un errore e un autogol clamoroso. In primis perché non esiste manifestazione sportiva nella carriera di uno sportivo, che possa essere paragonata all’evento olimpico, un evento che se sei fortunato riesci a disputare 3 forse 4 volte in carriera. Non credete? Beh, ditelo a Djokovic che nonostante abbia vinto tutto, a 34 anni vola a Tokyo per giocarsi l’ultima occasione di vincere l’oro olimpico, orgogliosissimo di rappresentare il proprio paese. Ditelo a Larissa Iapichino che, quasi coetanea di Sinner, per volontà del destino, si è infortunata all’ultimo salto dell’ultima gara prima delle Olimpiadi. Chiedete a lei; chiedetele se non farebbe carte false per andare a disputare la competizione più importante della sua vita.

Ecco, rinunciare a questo grande onore, non per un oggettivo impedimento fisico, è un errore d’immagine enorme. I molto o pochi che siano, che non credono in lui, avranno una comoda palla da spingere nel campo avversario per segnare un 15 che si sarebbe potuto evitare. Ma non gettiamo la croce solo addosso al ragazzo, non sarebbe giusto. Chi ne ha la paternità tennistica ha una grande responsabilità tennistica e non solo. Sinner è un patrimonio italiano e tutti, soprattutto chi lo consiglia, hanno l’obbligo di tutelarlo sotto ogni punto di vista. Missione che, questa volta, è clamorosamente fallita. Dispiace.

Carlo Galati

Musetti e Sinner, gli intoccabili

Se anche uno solo dei nostri pochi ma affezionatissimi lettori possa solo pensare che il termine di paragone per Sinner e Musetti siano le carriere di Nadal, Federer e Djokovic, a lui diciamo: no. Immaginare anche solo per un istante che il tennis sia quel qualcosa di sovrannaturale che questi tre mostri dello sport hanno finora mostrato, allora esiste un problema; ma questo lo sapevamo. A lui, a loro, dico che il tennis è stato altro fino al loro avvento, un avvento comunque rappresenta qualcosa di IRRIPETIBILE non soltanto nel tennis ma forse nello sport in generale.

Bene, chiarito questo concetto, possiamo ben dire ad alta voce che sì, i due giovanotti del tennis azzurro hanno un futuro radioso davanti a loro. Avrebbe potuto fare di più Jannik nella partita con Rafa? Forse sì, forse no. Non lo sapremo mai. Quello che sappiamo è che per due anni consecutivi Sinner ha sfidato il Re nel proprio regno incontrastato, perdendo sì, come tutti gli altri per 104 volte in questo torneo, ma uscendo dal campo accompagnato dall’applauso del proprio sfidante. Pur riconoscendo al maiorchino una sportività innata, non ricordiamo tante altre occasioni in cui questo sia accaduto. Eppure è successo.

E Musetti? Beh che dire?! Ha fatto letteralmente impazzire il numero uno al mondo per quasi due ore: mai due palle simili, colpi sempre al limite, variazioni in top e in back, lotta, sudore e corsa. In poche parole il manuale del perfetto terraiolo. Poi tutti a chiedersi, ma cosa è successo? E’ successo che Djokovic è il numero uno al mondo, è successo che a 19 anni e giocando da una vita (9 anni circa…!!!) match due su tre, alla prima esperienza in un ottavo di finale in uno Slam, vincendo due set al tie break sul Philippe Chatrier, la carica nervosa possa esaurirsi e con esso il fisico. Capita. Per chi vince e chi perde in questi casi si usa una sola parola: esperienza. Tanta per chi vince, poca per chi perde. Ah, dimenticavo: anche in questo caso applausi di Nole al giovane sfidante. Anche in questo caso non ricordiamo tante altre volte in cui sia successo.

Cosa voglio dire? Che da queste partite bisogna portarsi a casa il meglio e metterlo a frutto per il futuro, lavorando lavorando e lavorando ancora. Perché è innegabile che degli errori ci siano ma, chi non ne ha compiuti a 19 anni? Di sicuro non sul centrale del Roland Garros.

Carlo Galati

Il sorriso di Sinner, a Miami per la gloria

Un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso.

È quello che deve aver pensato Bautista Agut in un ultimo game contro Sinner nel quale l’Italiano di Bolzano lo ha annichilito, chiudendo a zero il gioco decisivo con l’avversario al servizio.

Quattro vincenti micidiali, a velocità supersonica, con la maturità di un trentenne, dal basso dei suoi diciannove anni, per chiudere un match partito male e finito con la stesa del tappeto rosso.

E una finale a Miami, in un Master 1000, con un tennis moderno e gioiosamente violento, che migliora di partita in partita, adattandosi alle caratteristiche degli avversari.

Sorride Jannik e questa è la notizia.

Umano, troppo umano, parafrasando Nietzsche, anche dopo l’ennesima partita fuori giri.

Sorride, soffre, lotta, si arrabbia, come un diciannovenne, come un campione, come solo un predestinato sa fare con tanta geometrica potenza.

Il solido Bautista gioca bene, variando il gioco e mettendoci dosi massicce di esperienza, ma Sinner resta lì, aggrappato al match anche quando dall’altra parte della rete il professor Bautista sale in cattedra provando a insegnare tennis.

Nulla di fatto.

Jannik mette il servizio quando serve, in un ultimo set vinto in rimonta e paradigma di un cervello tennistico da studiare in laboratorio.

È giovane Sinner, è Italiano, gioca un tennis che somiglia solo a quello di Sinner, un tennis che con un pizzico di fantasia e meno impacci sotto rete potrebbe presto rasentare la perfezione.

Ce lo godiamo mentre sorride, dopo il game perfetto che gli regala la finale dorata sotto il sole di Miami, sapendo che chiunque sarà il suo avversario Jannick non avrà nulla da perdere.

Il tatuaggio sul suo braccio lo ha ideato Bublik, marchiandoglielo a fuoco: “tu non sei umano”.

E invece sì, Jannik: sei umano e sei già nella storia del tennis tricolore.

Per adesso.

Il gusto della vittoria

E sono tre. Dopo aver vinto le Atp finals NextGen, il primo titolo del circuito a Sofia, Jannik Sinner regala il terzo assolo a Melbourne battendo nella finale tutta italiana, Stefano Travaglia.

Non una gran partita, va detto. Ma ce lo aspettavamo. I due venivano da un doppio turno giocato venerdì e un calo, ad inizio stagione ci può stare. L’aspetto più importante però sta nell’inizio di continuità che Sinner sta dando ai propri successi dimostrando che può vincere anche non giocando il suo miglior tennis, anche concedendo troppo sul dritto, anche limitandosi a controllare.

Incoraggiante è la maturità con il quale ha gestito i momenti difficile segno che l’allenamento mentale, l’allenamento alla gestione della partita, sta dando i propri frutti. Ed è l’aspetto che ad alti livelli fa la differenza tra il limbo dell’eterna promessa e la fioritura dei campioni.

Non abituiamoci. Arriveranno tanti altri momenti difficili e magari sconfitte concenti o inaspettate, parliamo di un predestinato ma di comunque 19 anni. La sua strada è lunga ma l’esempio è incoraggiante. Sapete chi alla sua età aveva vinto due tornei Atp? Non vi diciamo il nome ma solo un indizio: è il numero 1 al mondo.

Carlo Galati