Il momento in cui Bou Samnang ha spiegato perché

Quante volte ci siamo chiesti il motivo per cui continuare, perseverando consapevolmente, nel voler raggiungere qualcosa che apparentemente sembra impossibile da afferrare, combattendo contro quel mostro che dentro ognuno di noi ci dice di fermarci. Di non proseguire. Cinquemila metri di corsa sotto una pioggia torrenziale sarebbero un buon motivo per ascoltarlo quel mostro e rispondere a quella domanda. Non c’è nessun motivo per continuare.

Non per Bou Samnang, atleta cambogiana che nella pista d’atletica blu dello stadio di casa, il Morodok Techno National Stadium di Phnom Penh, ha vissuto in questa ambientazione quasi apocalittica, la gara dei 5000 metri femminili di atletica leggera della 32esima edizione dei Giochi del Sudest Asiatico, arrivando ultima ad oltre cinque minuti di distanza dalla vincitrice della gara. Ma gli applausi sono per lei, piccola e coraggiosa padrona di casa, che con tutto l’orgoglio dell’atleta ha dato un senso vero a qualcosa che un senso sembra non averlo.

Samnang corre da sola in pista con il pettorale 401, è completamente fradicia e appare visibilmente provata dalla fatica. Eppure non si arrende, supera l’ultima curva e taglia il traguardo. Piange lei, piange il cielo, per la giusta emozione che un’impresa del genere può regalare. A lei e a tutti noi che abbiamo visto un piccola ragazza cambogiana, spiegarci il senso dello sport e anche il senso della vita.

Carlo Galati

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