Courage Matteo, courage Lorenzo

Nessuno tocchi Matteo. Nessuno tocchi Lorenzo. Eppure sembra che ci si diverta a colpire i nostri ragazzi, in evidente e vera difficoltà, in un momento della loro carriera in cui gli scintillii della golden age sembrano aver lasciato lo spazio al sordo rumore della ruggine. Critiche su critiche, rimbrotti, numeri lanciati anche un po’ a caso per dimostrare quello che non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. È un periodo no, capita.

Non crediamo ci sia di che preoccuparsi né per Musetti, né per Berrettini sia perché, come detto, si attraversano periodi nella vita e nello sport in cui tutto sembra andare bene e poi invece nulla riesce, neanche le cose più elementari, sia perché i segnali di piccola crescita e miglioramento ci sono. Piccoli scossoni, ma va bene così. Va bene così, per adesso.

È questo il momento in cui bisogna riconoscere che tutto non stia andando per il verso giusto ma è anche il momento in cui non bisognerebbe spingere troppo sull’ acceleratore della critica fine a se stessa. Sono ragazzi, sono giovani, hanno la loro vita e soprattutto non devono niente a nessuno. Neanche a se stessi. Quindi evviva Lorenzo, evviva Matteo; passerà la nottata e sarà l’alba di un nuovo giorno che spazzerà via fantasmi e vergognose insinuazioni. Courage.

Carlo Galati

La coraggiosa scelta dell’atletica femminile

Abbiamo sempre creduto nella forza unificatrice dello sport, nel suo essere portatore di valori e principi che dall’alto di valutazioni oggettive riuscivano a trasmettere il più puro messaggio di valutazione democratica. La notizia arrivata da World Athletics, l’organo di governo dell’atletica, per bocca di Sebastian Coe, va in tal senso: le donne transgender che hanno attraversato la pubertà maschile saranno escluse dalle competizioni femminili.

Le regole della federazione internazionale lasciavano libertà di partecipazione agli atleti e alle atlete transgender, permettendo loro di partecipare alle competizioni nelle categorie corrispondenti al loro genere di elezione, a condizione che soddisfino determinati requisiti. In particolare, gli atleti transgender devono dimostrare che i loro livelli di testosterone nel sangue sono stati mantenuti al di sotto di determinati limiti per almeno un anno prima della competizione. Una questione questa che creava un disallineamento e che andava in direzione opposta rispetto a ciò che è alla base di tutto: la lealtà nella competizione.

Perché di questo parliamo: di condizioni di gara diverse e di una situazione che comprometteva la regolarità delle gare e non solo per il livello di testosterone. Ad esempio, ci sono differenze di massa muscolare e densità ossea tra gli uomini e le donne che possono influire sulle prestazioni atletiche, anche se il livello di testosterone è stato ridotto. Ecco perché plaudiamo a questa decisone, che rimette l’atletica femminile nei giusti binari della correttezza ridando credibilità competitiva a diverse discipline e ad uno sport, vittime di un uguaglianza a tutti i costi.

Carlo Galati

La marea verde sul Sei Nazioni con vista mondiale

Ascoltare “Ireland’s call” a Dublino il giorno dopo San Patrizio è qualcosa che scalda i cuori anche ai più retinenti. Se a questo aggiungiamo anche una vittoria sugli amatissimi inglesi e il conseguente trionfo nel Sei Nazioni, senza perdere una partita che sia una, beh se non è il Nirvana, poco ci manca. Ed è tutto merito del rugby.

La quinta partita della campagna, la peggiore delle cinque, ha però confermato l’ampiezza della rosa a disposizione di Farrell. I verdi hanno finito con in campo Rob Herring, Tom O’Toole, Jimmy O’Brien e Kieran Treadwell, gente che di solito non è neanche nei 23. Ha superato molte difficoltà e vinto partite giocate non bene, come questa, però non ha mai fatto dubitare di meritare un trionfo mai realmente in discussione.

L’Irlanda è, al momento, la migliore squadra al mondo e sul punto poco da dire o aggiungere. Lo dice il ranking, lo dicono i risultati, lo dice l’oggettiva forza di una rosa che non ha eguali. Eppure, manca ancora un tassello a questo squadra per restare nella storia di questo sport: manca la vittoria in coppa del mondo e l’occasione del 2023 è ghiotta come non mai. Ci arrivano da favoriti, con i galloni dei migliori della classe. L’Irlanda chiama.

Carlo Galati

Il salto che ha cambiato tutto

Sono pochissimi gli atleti capaci di lasciare un’impronta definitiva nello sport. Un gesto, una prestazione, un risultato, che restano issati sul pennone più alto, dove sventola la loro bandiera. Uno solo però è riuscito, non soltanto a lasciare quell’impronta, ma a modificare totalmente quella disciplina è quello sport. Si chiamava Dick ed è il padre del Fosbury Flop.

Sua è l’invenzione della tecnica dorsale per scavalcare l’asticella che lo studente dell’Università dell’Oregon elaborò in quanto in grande difficoltà con lo stile ventrale e che, da quasi sessant’anni, saltano tutti con risultati straordinari, dal cubano Javier Sotomayor detentore dei record mondiali all’aperto (2,45) e indoor (2,43) della specialità a Gimbo Tamberi, campione olimpico in carica in comproprietà con il collega Barshim.

È stato un rivoluzionario, uno di quelli da libro di storia per intenderci. Ha rotto uno schema e lo ha fatto permettendo al proprio sport di vivere una nuova vita, tracciando parabole che si inarcano verso vette mai toccate prima. Ci ha lasciato Fosbury con un ultimo grande salto, staccando e inarcandosi ancora una volta verso l’alto, questa volta per non atterrare più.

Carlo Galati

Cambiare tutto affinché tutto resti com’è

Non è cambiato nulla. Lì eravamo rimasti, lì ci ritroviamo, solo quattro mesi dopo. Verstappen dominante e Ferrari in difficoltà, il copione è sempre lo stesso, nonostante le evoluzioni tecniche e ingegneristiche, nonostante il cambio al muretto. Un anno è iniziato e sembra già finito.

Non vogliamo essere catastrofisti, ma a differenza degli altri anni è andato tutto storto fin dall’inizio. Anche in qualifica, dove Lerclerc riusciva a dire la sua, lo scorso anno, pur tra mille difficoltà, alla ripartenza in Bahrein non è andata bene neanche lì. Sentire il suo team radio, una volta capito che la sua SF-23, lo stava abbandonando è stato un colpo al cuore.

Come due schiaffi in pieno viso è la doppietta in casa Redbull: primo Max secondo Perez, come a dire “amici anche quest’anno è chiusa in partenza”. E già perché se il buongiorno si vede dal mattino, la giornata sarà lunga e per nulla semplice. Speriamo almeno non sia una disastro totale. Ci si aggrappa a Leclerc, l’unico in grado di riaccendere una speranza a condizione che sia però sostenuto da una macchina alla sua altezza. Sperem.

Carlo Galati

Ceccarelli d’oro e la sfida al Re

Il 19 febbraio ad Ancora, nessuno lo ha visto arrivare. Neanche il campione olimpico e mondiale sui 60 metri indoor, sua maestà Marcel Jacobs. Su Samuele Ceccarelli, dopo quella vittoria, i riflettori si sono accesi: impossibile non vederlo di nuovo, ma risultato è stato lo stesso anche agli europei di Istambul: Ceccarelli primo, Jacobs secondo. È tripudio italiano.

Il distacco è stato minimo, come sempre in queste gare, a questi livelli. Due soli centesimi che hanno rappresentato un passaggio di consegna sul trono d’Europa su una specialità che finora aveva visto Jacobs dominare in lungo e in largo ma va bene così. Va bene perché la vittoria di Ceccarelli è il secondo posto di Marcel rappresentano lo stato di salute, ottimo, della velocità italiana, che ha avuto dopo quelle giornate magiche di Tokyo una nuova vita.

E va bene anche a Jacobs che ha un avversario degno di questo nome in casa. Un compagno di nazionale che arrivato dalle retrovie ha piazzato quel colpo di reni che vuol dire sorpasso. Questo dualismo tutto azzurro non può che fare bene a tutti, soprattutto in prospettiva. Perché va bene i 60 indoor ma i 100 outdoor sono, per certi versi, un’altra disciplina, che adesso avrà un aspirante re ed un re che farà di tutto per difendere il suo trono.

Carlo Galati

Oltre il risultato

La logica nello sport è un dogma da sovvertire. Ci si riesce solo quando tutto ciò che consideriamo plausibile prende la tangente dell’imprevedibilità, guidata da venti che soffiano in direzione ostinata e contraria. Come potete immaginare non capita spesso, sarebbe strano il contrario. E all’Olimpico nel match con l’Irlanda ha prevalso la logica dello sport e del rugby. L’Italia è battuta dai numeri uno al mondo.

Ma andiamo oltre, oltre il risultato. È il 64esimo quando l’Irlanda decide che forse è il momento di piazzare perché sul 20-24 è giusto ristabilire il break di vantaggio. Byrne segna i tre punti. Ecco, questo è il momento che fa capire che la strada sia quella giusta. Perché impensierire i migliori al mondo è un conto, costringerli a piazzare per mettersi in sicurezza, un altro.

Ma siamo consapevoli che non basti: bisogna ritrovare il successo. Vincere e vincere di nuovo. Il Galles in quest’ottica è l’opportunità che serve per ritrovare quel successo che in casa manca da più di dieci anni. Una vita intera. Ma, come detto la strada è quella giusta e oltre il risultato c’è solo la vittoria.

Carlo Galati

I sorrisi d’oro del biathlon italiano

Ma cosa sarà mai questo biathlon? Sport nato di nicchia, che sembrava relegato nelle valli del nord Italia, sta conquistando con la resilienza tipica di questa disciplina il cuore, la testa e l’attenzione di tanti. Si scia, si spara, si scia e di nuovo si spara, accumunando due gesti che tecnici apparentemente così lontani, concretamente così vicini. E se non bastasse l’Italia femminile è diventata campione del mondo grazie a 4 atlete fantastiche.

L’impresa l’hanno compiuta ad Oberhof, in Germania, le quattro eroine della staffetta femminile: Samuela Comola, Dorothea Wierer, Hannah Auchentaller, Lisa Vittozzi, che si sono imposte su Germania, argento, e Svezia, bronzo. La vittoria è stata conquistata con il tempo di 1h14’39″7 con sole due ricariche utilizzate e con un vantaggio di 24″7 sulla nazionale tedesca, costretta a utilizzare 6 ricariche, e di 55″7 rispetto alla Svezia, con 2 penalità e 11 ricariche.

A tagliare il traguardo con le braccia rivolte verso l’alto, ultima tra le prime è stata Lisa Vittozzi; stanca e felice nel completare una frazione che ha consegnato il quartetto alla storia dello sport italiano e lanciando nel main stream una disciplina che sembrava per pochi e che ha conquistato tutti.

Carlo Galati

Il giorno del Pirata

L’amore nella sua forma più pura è rappresentato dall’indeterminatezza dello stesso. L’amore non ha limiti, confini, soprattutto temporali. I grandi amori sono per sempre, per sempre vivono nei cuori di chi ne alimenta ogni giorno il fuoco sacro della passione. Una specie di serbatoio inesauribile che si rigenera, nel caso specifico, della grandezza del ricordo. Perché è impossibile dimenticare per chi lo ha amato, impossibile non associare il giorno degli innamorati al profondo dolore della sua ultima salita.

Marco Pantani se n’è andato il 14 febbraio di 19 anni fa, ma in realtà non è mai andato via. La sua grandezza continua ad ispirare, il suo talento immenso è ancora vivo e presente in chi si approccia al ciclismo. Continua a pedalare con gambe nuove, con energie mai perse, con sogni mai svaniti. Mai nessuno come lui: ciclista amato da tutti, ultimo esponente di un romanticismo sportivo che si sposa con le due ruote della fatica, del sangue, del sudore e delle lacrime. Amare.

Come amaro è il suo lungo addio, ma finito realmente. Sempre in salita, sempre sui pedali, sempre a lottare per far mettere fine all’agonia il prima possibile; un’agonia che però lo ha reso immortale e lo consacra tra i più grandi di sempre, per sempre. Il Pirata ci manca, manca al ciclismo e allo sport italiano, manca sempre: ad ogni salita, ad ogni tappa del Giro e del Tour. Manca la sua bandana gialla, manca il suo sorriso. Un sorriso che non abbiamo mai forse realmente compreso; triste e malinconico, radioso in apparenza. Non abbiamo mai capito il suo dolore che oggi è anche il nostro.

Carlo Galati

La rincorsa di Sinner parte da Montpellier

Deve essere la stagione del rilancio, del riscatto o del passo decisivo. Chiamatela come volete, è il risultato a contare. E il risultato parla chiaro, l’obiettivo è stato raggiunto. Jannik Sinner ha vinto il torneo di Montpellier battendo in finale il franco americano Maxime Cressy con il punteggio di 7-6, 6-3. Non era facile, non lo è mai soprattutto quando si arriva in fondo ad un torneo, nonostante il divario di classifica, di gioco, di classe.

Già perché Cressy, ultimo della sua specie, giocatore dal serve and volley come arma efficace e fondamentale, riportando il tennis ad una dimensione pionieristica, durante il torneo non aveva mai perso il servizio, perdendo un solo set al tie-break in semifinale con Rune. È stata una vittoria vera quella di Sinner. Più rotonda ed importante di quello che può sembrare perché, durante tutto il torneo, ha sempre trasmesso quella particolare sensazione che solo i campioni hanno: il totale controllo della situazione.

Ed è questo il modo migliore di prepararsi ad una parte della stagione che è una lunga rincorsa verso la parte della stagione che può e deve dare a Sinner una consacrazione definitiva, passando per dei 1000 importanti e poi verso quei due obiettivi, a Parigi e Londra che forse non sono così impossibile. Con questo Sinner nulla è precluso, nemmeno i sogni.

Carlo Galati