
Un’inversione di rotta in meno di 24 ore. Questa è la decisione da parte del CIO di escludere gli atleti russi e bielorussi dalle Paralimpiadi in programma a Pechino dal 4 al 13 marzo, si era pensato che avrebbero potuto partecipare come “neutrali”. Ed invece a poche ore da quella che sarà una cerimonia di apertura di giochi olimpici, ci troviamo di fronte ad una decisione assurda, proprio alla luce della sua stessa natura.
Lo sport è inclusione per definizione, strumento e veicolo di pace, a maggior ragione se svolto all’interno di un contesto a cinque cerchi, non può e non deve sottostare a quelle logiche non inclusive che per natura non le appartengono.
Intollerabile gesto di tristi burocrati che non vedono nello sport quel messaggio di pace che dovrebbero vedere, che non sanno che rispondere discriminando, di fronte alla grande fame di unità e fratellanza. Non stiamo qui di certo a negare la fondatezza delle sanzioni nei confronti della Russia ma non è corretto che a pagare sia chi nello sport, e nello sport paralimpico, ha trovato un momento di riscatto personale da una vita che non ha sicuramente mostrato loro il suo volto migliore ma che, grazie alla volontà di competere, ha offerto un riscatto a questi atleti. Poteva essere l’occasione giusta magari di vedere su un podio un atleta russo e uno ucraino abbracciarsi sotterrando, in nome del sacro fuoco di Olimpia, le trucide barbarità che la guerra porta con sé; avremmo potuto gioire di immagini forti come la storia che quella storia, così terribile, magari avrebbero potuto contribuire a cambiare. Quanti gesti in tal senso? Quante occasioni ha avuto lo sport per unire. Tantissime, alcune di queste ve le abbiamo descritto in questa pagine: dalla tregua di Natale durante la prima guerra mondiale, alle imprese di Bartali al Tour del France che evitarono nel 1948 una guerra civile ormai prossima, ai pugni di Mohamed Alì che cambiarono il corso della storia afroamericana.
E’ un’occasione persa, è uno squallido piegare quanto di più puro esista, la voglia di competere alle olimpiadi, alle logiche sanzionatorie di una guerra che non è mai giusta, che non è mai corretta, che non ha e non avrà scusanti, ma che fa aumentare sempre di più il caro prezzo che soprattutto gli innocenti pagheranno. Come nel caso degli atleti russi e bielorussi.